Tempi veloci? Stampa lenta!” è il motto al quale si ispira il West End Phoenix, il mensile di informazione iperlocale, 5.000 copie per la zona West End di Toronto, in Canada. “Siamo nati dopo avere verificato che nella nostra area diffusionale tutti i giornali stampati erano a poco a poco spariti” racconta il fondatore, e direttore del mensile, Dave Bidini, che otto anni orsono ha deciso di puntare sulla carta anziché su internet. Per due buone ragioni: i tempi dei pagamenti per i canali digitali, molto lunghi, e la forza della pagina stampata, che vuol dire presenza fisica e duratura del prodotto nella vita dei lettori. “La carta ha un suono, un aroma. Le storie stampate restano nelle case per settimane dopo la distribuzione del prodotto.” E poi il giornale si passa di mano, papà, mamma, e poi i figli. Diventa quasi uno di famiglia. E considerazioni poco dissimili sono condivise da Dan Jacobson, editore e direttore di TriCity News – 6.000 copie – settimanale del New Jersey, anche lui intervistato di recente dal The Reuters Institute for the Study of Journalism, organizzazione internazionale dedicata ad esplorare il futuro del giornalismo. È una testata alternativa che punta su arti, cultura e politici nell’area orientale di Monmouth County. La carta crea il senso dell’appartenenza alla comunità. Esiste dal 1999, con buona pace dei canali digitali dove moltissime altre testate iperlocali sono andate, per chiudere poco dopo aver rinunciato alla carta. La pubblicità stampata a colori fa la differenza per gli inserzionisti, e non c’è competizione con lo schermo del telefonino. Il mensile canadese è diffuso in abbonamento, il settimanale americano è una testata gratuita. A fare la differenza, e a certificare il loro successo editoriale, non è il modello di business, è la carta stampata.

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